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al testo di Amina Narimi
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L'incanto è nei primi passi dell'ora che rallenta, solo che si abbia il coraggio di toccarsi, dove avvolgerla e girarle intorno
quando il suo corpo arriva la luce è fiato che riprende lo spazio del pensiero, lingua che va nelle pupille di due mondi in sogno vegliando la speranza dell’incontro interminabile. Dove il tempo cresce nel cono di luce di una stessa attesa anche lei si volta, appesa alla parete, per riconoscersi, dall’altro lato, col Tuo libro- un corpo che era suo, tra i gigli bianchi, a illuminare l’arco della vita- e una carezza
ti basta tenere nel cavo delle mani quella luce col suo ultimo respiro, che spinge ai margini la morte, restituendo la maternità, nome su nome, e cibo per vedersi nella nascita ai piedi della casa, dalle nostre spalle al muro, nel suo potere di resurrezione:
la felicità di non vedere, generando voci a ogni sentiero, aggiungendo luce al mio piccolo lume, e mani, che si propagano come alberi distesi, e le radici ed i capelli insieme sono Uno
Sono sola, e l’altra io ha fame. Così ho mangiato un fiore, spuntato in piena neve, in una notte precoce il canto continuo di un vento, nella mia garza di piccole cose, innalzando come un vaso il nome nel cielo e un'altra figlia ha posato la testa nella parte profonda del ventre- senza dolore- abbassati gli occhi insieme ho sentito le nostre madri toccarsi con le dita, conservando calore
è già sera, quando canta narimzeni, al di là di questo buio, quando il sonno ci porta da loro, per fiorire dove vanno a tornare le cose che hanno amato. A un passo appena vi guardiamo di ritorno nello sguardo delle figlie piantate con il corpo nella terra per aprirsi , sempre più profonde, ritte sui bulbi color miele, senza dimensioni, poi, c'è il silenzio, tra le gambe nude, si allarga nell'attesa, ci soffia dentro, sconosciuto e splendido
con la pancia nel cuore siamo una piccola famiglia, in una stanza tra due isole il loro viso è la tua parola.
Tra i miei capelli e la tua mano si leva ignara e santa la pupilla di chi ci sfiora- queste donne, che entrano dentro tutte, con la tacita fede delle piante, nelle loro infinite rinascenze.
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Scultura: Martin Hudáček |
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